Pastorelle

L'altro ieri in un boschetto, trovai una pastorella...

Pastorelle, dal medioevo ad oggi.


L’amor cortese! Il fin’amor!
Costanza, perseveranza e servile pazienza nei confronti di ambite ed inarrivabili dame di corte, potenti sia nelle questioni di politica che di amore, ispirazione ossessiva per cavalieri e trovatori del lungo periodo che noi chiamiamo medioevo.
Grandi imprese venivano compiute per una carezza, un bacio o, per i più arditi e fortunati, un rapporto sessuale completo. Non tutti però erano così audaci da riuscire nella nobile impresa amorosa.
Ieri come oggi innumerevoli persone sostengono di non provare interesse per Amore, sentimento tra più naturali esistenti, ritrovandosi inevitabilmente costretti a sfogare gli istinti, dai quali nessun essere vivente è immune, in modi che danno vita a sentimenti e piaceri meno nobili e cortesi.
Cavalieri e trovatori, per cantare dei loro amori platonici e inarrivabili, si spostavano da una corte all’altra, cavalcando attraverso enormi distese di prati verdi circondati da foreste misteriose e ricche di vita, dalle quali all’improvviso si ergevano solitari e magnifici castelli colorati, sparpagliati qua e là per le brughiere come piccoli puntini di una civiltà ancora fortemente legata alla Natura.
Questi viaggi spesso li conducevano al cospetto di persone appartenenti alla cultura contadina: taglialegna, mandriani ed anche belle pastorelle, spesso disturbate nel loro lavoro da questi uomini che cercavano in loro un momento di passione libera dalle rigide regole dell’amor cortese che li tormentava, privandoli dei piaceri corporali che tanto bramavano ma difficilmente ottenevano.
Sottovalutate dagli uomini in fatto di arguzia solo perchè appartenenti ad un ceto sociale più basso del loro, queste pastorelle si rivelavano invece astute e ben più sagge dei loro nobili adulatori che, terminate le avances tipicamente cortesi, provavano a sedurle offrendo ricchi regali che difficilmente destavano l’interesse delle pastorelle le quali umiliavano i loro adulatori portandone alla luce gli aspetti più meschini, risultando di contro donne d’animo nobile e cortese, seppur di umile condizione.
Dunque la cornice che caratterizza questo stile di composizione è sempre di tipo bucolico, i protagonisti sono una pastorella ed un cavaliere che cerca di sedurla. Il finale è spesso variegato: a volte troviamo l’intervento di altri personaggi come un pastore o degli amici, che danno alla vicenda sviluppi inaspettati. Ottimo esempio ne è la splendida opera di Adam de la Halle: “Le jeu de Robin et Marion”; altre volte invece le avances vanno a buon fine e i due si appartano all’ombra di qualche albero per darsi al sollazzo, ma questo avviene molto di rado.
Le pastorelle a volte possono anche celare messaggi che vanno oltre la mera narrazione di un fatto fine a se stesso.


Spesso nelle composizioni dei trovatori e delle trovatrici vi si leggono significati e messaggi nascosti e da interpretare, siano essi contenuti in tenzoni, sirventesi o per l’appunto pastorelle.
Quella che viene considerata la prima composizione poetica in stile di pastorella è da attribuire a Marcabru, figura celebre per il suo pessimo carattere, il linguaggio sboccato ed il suo disprezzo nei confronti dell’amor cortese, ma soprattutto per la sua importanza a livello poetico nello stile del trobar clus, scrittura introversa, difficile e ricca di messaggi nascosti in contrapposizione al trobar leu, molto più semplice e chiaro.
“L’autrier jost’una sebissa” ovvero: “L’altro giorno, accanto ad una siepe” è una composizione che racconta l’incontro tra una pastorella e colui che, ad una prima lettura, sembrerebbe essere il nostro Marcabru.
Il personaggio maschile, dopo aver attraversato la brughiera, vede una splendida pastorella e tenta immediatamente di approcciarla utilizzando la sua colta e nobile parlata, lusingandola ed adorandola come avrebbe fatto con una dama di alto lignaggio, ma riscuotendo ben poco successo e ricevendo solo insulti ed affermazioni che lo fanno apparire per quello che è: ricco nei fatti, ma povero di cortesia e d’animo:



“L’altro giorno accanto a una siepe
Trovai un’umile pastora,
piena di gioia e di giudizio,
ed era figlia di contadina:
mantella e gonnella di pelle,
veste e camicia di tela grossa,
scarpe e calze di lana.

Verso di lei venni per la pianura:
“Bella”, dissi io, “creatura graziosa,
mi dispiace per il freddo che vi punge.”
“Signore”, rispose la villana,
“grazie a Dio e alla mia balia,
poco mi importa se il vento mi scompiglia i capelli,
perché sono allegretta e sana.”

“Ragazza”, dissi “essere dolce,
mi sono allontanato dal mio cammino
per farvi compagnia,
perché una ragazza di campagna come voi
non deve senza una compagnia adatta
pascolare tanto bestiame
in questa terra solitaria.”

“Signore”, fece lei, “quale che io sia,
so distinguere bene tra il senno e la stupidità.”
“La vostra compagnia”,
questo disse la villana,
“stia lì dove conviene,
perché c’è chi crede di tenerla al suo comando,
ma non ne ha altro che l’apparenza.”

“Ragazza di nobile condizione,
vostro padre fu un cavaliere,
che vi generò in vostra madre,
perché fu una cortese villana.
Quanto più vi guardo, più mi sembrate bella,
e m’illumino per la gioia che mi aspetto da voi,
se solo foste un po’ benevola.”

“Signore tutto il mio lignaggio e la mia famiglia
vedo che risale e che appartiene
alla vanga e all’aratro,
signore”, disse la villana;
“ma chi si spaccia per cavaliere
dovrebbe farlo
sei giorni alla settimana.”

“Ragazza”, io feci, “una fata gentile
vi dotò, quando nasceste,
di una bellezza meravigliosa,
superiore a qualsiasi altra villana;
e vi sarebbe raddoppiata
se una volta potessi vedermi
io di sopra e voi di sotto.”

“Signore, mi avete fatto tante lodi
che dovrei essere molto invidiata per questo.
E poiché mi avete esaltata nei miei meriti”,
disse la villana,
“di ciò avrete come ricompensa
alla partenza: ‘Aspetta e spera cretino!’
e un’inutile perdita di tempo.”

“Ragazza, un cuore schivo e selvaggio
si doma con la consuetudine.
Ben capisco, andando avanti,
che con tale ragazza di campagna
si può fare una buona compagnia
con amicizia di cuore,
senza che ci si inganni a vicenda.”

“Signore, l’uomo che è preso nella sua stupidità
giura e garantisce e promette ricompense;
così mi rendereste omaggio,
signore”, questo disse la villana;
“ma per un misero guadagno
io non voglio scambiare la mia verginità
con il nome di puttana.”

“Ragazza, ogni creatura
ritorna alla natura.
noi dobbiamo prepararci a fare coppia,
io e voi, villana,
a riparo della siepe lungo il pascolo,
dove sarete più sicura
per fare la dolce cosa.”

“Signore, sì; ma a buon diritto
lo stupido cerca la stupidità,
il cortese, l’avventura cortese,
e il villano la villana.
Viene meno il giudizio
là dove non si conserva la misura,
così dicono i vecchi.”

“Bella, non ho visto nessun’altra
della vostra bellezza più perfida
e più traditrice nel suo cuore.”

“Signore, la civetta vi dà il malaugurio,
perché c’è chi si incanta davanti a un dipinto
e chi aspetta la manna.”

Testo originale:
"L'autrier jost' una sebissa
Trobei pastora mestissa,
De joi e de sen massissa,
Si cum filla de vilana,
Cap' e gonel' e pelissa
Vest e camiza treslissa
Sotlars e causas de lana.

Ves lieis vinc per la planissa.
Toza, fi·m ieu, res faitissa,
Dol ai car lo freitz vos fissa.
--Seigner, so·m dis la vilana,
Merce Dieu e ma noirissa,
Pauc m'o pretz si·l vens m'erissa,
Qu'alegreta sui e sana.

--Toza, fi·m ieu, cauza pia,
Destors me sui de la via
Per far a vos compaignia!
Quar aitals toza vilana
No deu ses pareill paria
Pastorgar tanta bestia
En aital terra, soldana.

--Don, fetz ela, qui que·m sia,
Ben conosc sen e folia!
La vostra pareillaria,
Seigner, so·m dis la vilana,
Lai on se tang si s'estia,
Que tals la cuid' en bailia
Tener, no·n a mas l'ufana.

--Toza de gentil afaire,
Cavaliers fon vostre paire
Que·us engenret en la maire,
Car fon corteza vilana.
Con plus vos gart, m'etz belaire,
E per vostre joi m'esclaire,
Si·m fossetz un pauc humana

--Don, tot mon ling e mon aire
Vei revertir e retraire
Al vezoig et a l'araire,
Seigner, so·m dis la vilana!
Mas tals se fai cavalgaire
C'atrestal deuria faire
Los seis jorns de la setmana.

--Toza, fi·m ieu, gentils fada,
Vos adastret, quam fos nada,
D'una beutat esmerada
Sobre tot' autra vilana!
E seria·us ben doblada,
Si·m vezi' una vegada,
Sobira e vos sotrana.

--Seigner, tan m'avetz lauzada,
Que tota·n sui enojada!
Pois en pretz m'avetz levada,
Seigner, so·m dis la vilana,
Per so n'auretz per soudada
Al partir : bada, fols, bada,
E la muz'a meliana.

--Toz', estraing cor e salvatge
Adomesg' om per uzatge.
Ben conosc al trespassatge
Qu'ab aital toza vilana
Pot hom far ric compaignatge
Ab amistat de coratge,
Si l'us l'autre non engana.

--Don, hom coitatz de follatge
Jur' e pliu e promet gatge:
Si·m fariatz homenatge,
Seigner, so·m dis la vilana!
Mas ieu, per un pauc d'intratge,
Non vuoil ges mon piucellatge,
Camjar per nom de putana.

--Toza, tota creatura
Revertis a sa natura:
Pareillar pareilladura
Devem, ieu e vos, vilana,
A l'abric lonc la pastura,
Car plus n'estaretz segura
Per far la cauza doussana.

--Don, oc! mas segon dreitura
Cerca fols sa follatura,
Cortes cortez' aventura,
E·il vilans ab la vilana!
En tal loc fai sens fraitura
On hom non garda mezura,
So ditz la gens anciana.

--Toza, de vostra figura
Non vi autra plus tafura
Ni de son cor plus trefana.

--Don, lo cavecs vos ahura,
Que tals bad' en la peintura
Qu'autre n'espera la mana."

La pastorella in questo caso è la personificazione del nostro Marcabru che con il suo solito moralismo attacca direttamente lo stile di vita libertino dell’amor cortese, mostrando quanto anche un nobile cavaliere possa cadere in fallo e divenir meschino se si dimentica quale dovrebbe essere il suo posto ed il suo ruolo. Molti storici e studiosi associano al cavaliere protagonista di “L’autrier jost’una sebissa” la figura di Guglielmo IX d’Aquitania, considerato già dall’antichità il primo tra i trovatori dal quale l’amor cortese ha avuto la sua genesi.
In Italia la tematica della postorella ha avuto in Guido Cavalcanti il suo massimo esponente. Il componimento qui presentato si chiama “In un boschetto” ed è uno dei rari casi in cui l’approccio finisce positivamente:

“In un boschetto trova’ pasturella
più che la stella – bella, al mi’ parere.

Cavelli avea biondetti e ricciutelli,
e gli occhi pien’ d’amor, cera rosata;
con sua verghetta pasturav’ agnelli;
[di]scalza, di rugiada era bagnata;
cantava come fosse ’namorata:
er’ adornata – di tutto piacere.

D’amor la saluta’ imantenente
e domandai s’avesse compagnia;
ed ella mi rispose dolzemente
che sola sola per lo bosco gia,
e disse: «Sacci, quando l’augel pia,
allor disïa – ’l me’ cor drudo avere».

Po’ che mi disse di sua condizione
e per lo bosco augelli audìo cantare,
fra me stesso diss’ i’: «Or è stagione
di questa pasturella gio’ pigliare».
Merzé le chiesi sol che di basciare
ed abracciar, – se le fosse ’n volere.

Per man mi prese, d’amorosa voglia,
e disse che donato m’avea ’l core;
menòmmi sott’ una freschetta foglia,
là dov’i’ vidi fior’ d’ogni colore;
e tanto vi sentìo gioia e dolzore,
che ’l die d’amore – mi parea vedere.”





Le composizioni in stile di pastorella provenienti dall’occitana e dall’Italia sono circa una quarantina, relativamente poche se paragonate alle quasi centocinquanta pervenuteci dal nord della Francia, luogo dove il genere ha riscosso enorme successo seppur ponendo maggiore enfasi sull’erotismo delle vicende piuttosto che sulla poesia o sui messaggi celati nelle liriche.
Il genere della pastorella non era legato solo a trovatori, menestrelli o giullari, anche gente estremamente altolocata come il re di Navarra e conte di Champagne Thibaut, detto il trovatore, compose una pastorella chiamata: “L’autrier par la matinee”.








Thibaut de Champagne
Questa composizione rispetta in pieno i canoni delle pastorelle del nord, gli elementi tipici infatti sono: la descrizione di un paesaggio naturale nel quale avviene l’incontro, elemento fisso in tutte le pastorelle, il tentativo di seduzione attraverso doni ed infine un disperato tentativo di approccio “forzato”.
Il finale, in questo caso, è decisamente divertente:

“L’altra mattina,
Tra un bosco e un frutteto
Una pastorella trovai.
Che cantava per svagarsi
Una canzone di primavera:
"Qui il dolore dell'amore mi stringe".
Mi affrettai immediatamente
Per ascoltare la sua canzone,
E le dissi senza indugiare:
"Bella, che Dio vi auguri un buon giorno!"
Immediatamente e senza esitazione,
Ella restituì il saluto.
Era fresca e dai bei colori,
E volevo avvicinarmi:
"Bella, se mi amerai,
Avrai un ricco vestito."
Lei mi rispose: "Mentite!
I cavalieri sono bugiardi!
Preferisco Perrin, il mio pastore
E non voi, gentiluomo bugiardo."

"Bella, non dirlo!
I cavalieri sono molto coraggiosi!
Chi sa come avere un amica
E trattarla secondo i suoi sogni
Meglio di un cavaliere o un gentiluomo?
L'amore di un pastore
Certamente non vale più di un bottone.
Quindi lascialo a casa
E amami! Te lo prometto,
Da me avrai ricchi doni! "

"Signore, per santa Maria,
Tu parli per niente!
Hanno mentito a così tante signore,
I tuoi infidi cavalieri!
Troppe falsità e cattivi pensieri!
Valgono ancora meno di Ganelon! (noto traditore presente nella Chanson de Roland)
Torno a casa mia
Perché Perrinet mi sta aspettando.
Mi ama fedelmente con tutto il cuore.
Ferma i tuoi bei discorsi! "

Capii che la pastorella
Non mi voleva
Gli ho fatto una preghiera molto lunga,
Ma a nulla è servito.
Così l'ho stretta per baciarla,
Ma lei emise un forte grido:
"Perrinet! al traditore! al traditore! "
Dal bosco sentii delle urla,
La lasciai immediatamente
E subito montai a cavallo.

Quando lei mi vide fuggire,
Mi urlò in tono beffardo:
"I cavalieri sono davvero coraggiosi!”

Testo originale:
L'autrier par la matinee,
entre un bois et un vergier,
une pastore ai trouvee
chantant por soi envoisier.
Et disoit un son premier :
«Ci me tient li max d'amors.»
Tantost cele part me tor,
que je l'oï desresnier;
si li dis sanz delaier :
«Bele, Dex vos dont bon jor.»

Mon salu sanz demoree
me rendi et sanz targier.
Mult ert fresche [et] coloree,
si m'i plot a acointier :
«Bele, vostre amor vous qier,
s'avroiz de moi riche ator.»
Ele respont : «Tricheor
sont mès trop li chevalier.
Melz aim Perrin, mon bergier,
que riche honme menteor.»

«Bele, ce ne dites mie;
chevalier sont trop vaillant.
Qui set donc avoir amie
ne servir a son talent
fors chevalier et tel gent ?
Mès l'amor d'un bergeron
certes ne vaut un bouton.
Partez vos en a itant
et m'amez; je vous creant :
de moi avrez riche don.»

«Sire, par sainte Marie,
vous en parlez por noiant.
Mainte dame avront trichie
cil chevalier soudoiant.
Trop sont faus et mal pensant;
pis valent que Guenelon.
Je m'en revois en meson,
car Perrinez, qui m'atent,
m'aime de cuer loiaument.
Abessiez vostre reson.»

G'entendi bien la bergiere,
qu'ele me veut eschaper.
Mult li fis longue proiere
mès riens n'i poi conquester.
Lors la pris a acoler,
et ele gete un haut cri :
«Perrinet, traï ! traï !»
Du bois prenent a huper;
ja la lais sanz demorer,
seur mon cheval m'en parti

Quant ele m'en vi aler,
si me dist par ramposner :
«Chevalier sont trop hardi !»

Vi presento due pastorelle con musiche originali: “L’autrier jost’una sebissa” di Marcabru registrata dal "Clémencic Consort" perchè, come al solito, difficilmente questo ensemble è secondo ad altri nelle sue interpretazioni e “L’autrier par la matinee” di Thibaut de Champagne nella versione dell’ensemble “Alla Francesca” che grazie all’interpretazione di Brigitte Lesne risulta essere il più convincente ed emozionante.
Il tema della pastorella non è mai morto e sovente nelle canzoni popolari, soprattutto del nord Italia e sud della Francia, si ritrovano elementi la cui radice risale proprio alle pastorelle medievali.
Un ottimo esempio ne è la canzone popolare piemontese “La Bergera” (La pastora) nella quale una pastorella viene avvicinata da tre ragazzi francesi che tentano di approcciarla regalandole un mantello per riscaldarsi ma lei li scaccia dicendo di amare il suo pastore che la sa scaldare con la sua viola.
Il pastore prontamente salta fuori dalla baracca e nell’ultima strofa suona la sua viola.
Ho inserito questa canzone nel finale del video nella versione della band folk “La Lionetta” perchè credo che il brano abbia tutti gli elementi per essere considerato una pastorella.

Ecco il testo in dialetto piemontese:

A l'umbrëta dël büssun
bela bërgera l'è 'ndürmia.
J'e da lì passè
tre zoli Fransè,
ca la dije: "Bela bërgera,
vui l'èvi la frev!"

E se vui l'èvì la frev,
faria fé na cuvertüra:
cun il me mantel
ch'a l'è cusì bel.
Faria fé na cuvertüra,
passerà la frev.

E la bela l'a rispundij:
"Gentil galant fé voster viagi
e lassemi sté cun il mé bërgè
con al suon de la sua viola
l'a m'fara' dansé"

El bërgè, sentend lolì,
l'è sautà for da'nt la baraca,
cun la viola 'n man
s'à l'è bütà sunè;
A l'àn pià bela bërgera,
l'àn fàla dansè.


Pastorelle, dal medioevo ad oggi



Tutti i diritti riservati ai musicisti dei vari ensemble, il video ha il solo scopo di diffondere la bellezza della musica del medioevo.

“L’autrier jost’una sebissa” di Marcabru registrata dal "Clémencic Consort"
“L’autrier par la matinee” di Thibaut de Champagne registrata da “Alla Francesca”
“La Bergera”, tradizionale piemontese registrato da “La Lionetta”

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