La primavera d'Amore

La primavera d'Amore



Il mondo dei trovatori e delle trobairitz ricopre uno dei ruoli più affascinanti del medioevo, un epoca che, nel bene o nel male, continua ad essere presente nella nostra quotidianità molto di più di altri periodi storici più prossimi a noi. 
Sono passati ben 881 anni dalla morte di Guglielmo IX d’Aquitania, considerato il primo dei trovatori anche dai suoi contemporanei, ma basta leggere qualcuno dei suoi “Vers” d’amor cortese, ancora oggi facilmente reperibili nelle librerie o in rete, per accorgersi di quanto egli fosse compiaciuto del mondo a cui apparteneva e di quanto la fioritura delle arti venisse stimolata e supportata da ricchi signori e grandi dame alle quali i musicisti dedicavano lodi e composizioni in cambio di protezione e sostentamento.
Il XII ed il XIII secolo hanno goduto di una primavera artistica sbocciata da un genere umano ancora selvatico, giovane ed esuberante, pieno di curiosità verso un mondo tutto da scoprire. 
Bernart de Ventadorn dal ms. 12473 BnF
Dal mistico oriente giungono nuove sonorità e stili poetici che si fondono senza fatica con la cultura artistica occidentale. Da questa unione prende vita lo stile dei trovatori che adotta per lingua madre l’occitano, le cui parole, sempre musicali ed armoniose, vengono cantate o declamate in piena libertà dai trovatori già numerosissimi in Spagna, Portogallo, Italia del nord, in Sicilia ed ovviamente nel sud della Francia, culla di tutto il movimento dell’amor cortese.
Nel tempo lo spirito artistico e le differenze dei luoghi abitati dai trovatori colorano questo movimento di nuove e molteplici sfumature; la poesia d’amore di Bernart del Ventadorn ad esempio è ben diversa da quella di Guilhem Figueira, la cui poesia predilige la protesta politica e religiosa contro Roma e la corruzione del Clero, denunciando i massacri compiuti dal Vaticano durante le crociate contro gli albigesi.

Guilhem Figueira dal ms. 12473 BnF

Ecco il lungo sirventes di Figueira, sia in versione tradotta che in lingua d'Oc:



I. Di fare un sirventese su questo suono che mi piace, non voglio più tardare né fare lungo indugio e so senza dubbio, ne avrò malevolenza, perché compongo un sirventese sui falsi, ignoranti di Roma, che è a capo della decadenza, dove ogni bene decade.
II. Roma, non mi meraviglio se la gente erra, perché hai messo il mondo in tormento e in guerra, e per causa tua pregio e pietà muoiono e sono sotterrati, Roma ingannatrice, che sei guida di tutti i mali e cima e radice, tanto che il buon re d’Inghilterra fu da te tradito.
III. Roma, fraudolenta, la cupidigia ti inganna: alle tue pecore tosi troppa lana. Lo Spirito Santo che si è incarnato ascolti le mie preghiere e spezzi il tuo becco. Roma, non entro nella tua tresca, perché sei falsa e perfida con noi e con i Greci.
IV. Roma, agli uomini stolti rodi la carne e le ossa e guidi i ciechi con te nella fossa; trasgredisci i comandamenti di Dio, tanto è grande la tua cupidigia, perché per denaro perdoni i peccati. Roma, ti carichi di un pesante fardello di male.
V. Roma, sappi bene che il tuo vile baratto e la tua follia hanno fatto perdere Damietta. Roma, ti comporti male. Dio ti abbatta e ti mandi in rovina, perché ti comporti falsamente per denaro, Roma di razza cattiva e violatrice di patti.
VI. Roma, in verità so per certo che sotto apparenza di falso perdono hai mandato al massacro la nobiltà di Francia, lontano dal paradiso, e hai ucciso, Roma, il buon re Luigi perché con false prediche l’hai attirato fuori da Parigi.
VII. Roma, fai ben poco danno ai Saraceni, ma Greci e Latini mandi al macello. Nel pozzo dell’abisso, Roma, hai posto la tua dimora, nella perdizione. Dio non mi faccia mai partecipe, Roma, del perdono e del pellegrinaggio che facesti ad Avignone.
IX. Roma, senza ragione hai ucciso molta gente, e non mi piace affatto la via tortuosa che segui, perché, Roma, chiudi la porta alla salvezza. Perciò ha una pessima guida, sia d’estate che d’inverno, chi segue la tua traccia, perché il diavolo lo porta nel fuoco d’inferno.
IX. Roma, è facile discernere il male che di te si deve dire giacché per scherno fai martirio dei cristiani; ma in quale quaderno trovi scritto, Roma, che si debbano uccidere i cristiani? Dio, che è pane vero e quotidiano, mi conceda di vedere accadere ai Romani ciò che desidero.
X. Roma, è davvero evidente che sei stata troppo sollecita nelle false indulgenze che hai concesso contro Tolosa. Ti rodi assai le mani come una rabbiosa, Roma, che metti discordia. Ma se il valente conte vive ancora due anni, la Francia sarà dolorosa per i tuoi inganni.
XI. Roma, è così grande la tua malvagità che fai disprezzare Dio e suoi santi; ti comporti così male Roma falsa e perfida, che in te scompare, diminuisce e si confonde la gioia di questo mondo. E fai una grande ingiustizia al conte Raimondo.
XII. Roma, Dio lo aiuti e dia potere e forza al conte che tosa i Francesi e li scortica e li calpesta quando viene alle mani con loro, e a me piace molto. Roma, Dio si ricordi del tuo gran torto, se gli piace, e strappi il conte a te a e alla morte.
XIII. Roma, ben mi conforta il fatto che tra poco finirai male, se il giusto imperatore indirizza giustamente il suo destino e fa ciò che deve fare: Roma, dico in verità, che vedremo decadere il tuo potere: Roma, il vero Salvatore mi conceda di vederlo presto.
XIV. Roma, per denaro tu compi molte villanie, molte dispiaceri, molte fellonie . Tanto vuoi avere il dominio del mondo, che non temi affatto Dio e i suoi divieti. Anzi vedo che fai male dieci volte più di quanto io potrei dire.
XV. Roma, tieni tanto stretti i tuoi artigli, che ciò che puoi afferrare difficilmente ti scappa; se presto non perdi il tuo potere, in una trappola malvagia sarà caduto il mondo, morto e vinto, e il pregio distrutto: Roma, il tuo papa fa queste buone opere!
XVI. Roma, Colui che è luce del mondo e vera vita e vera salvezza ti dia una mala sorte destino, perché tante e risapute sono le tue azioni malvagie per cui il mondo grida. Roma, sleale, radice di ogni male, nel fuoco infernale brucerai senza fallo, se non cambi condotta.
XVII. Roma, ti si può biasimare per i cardinali, per i peccati criminali mortali che sono noti; poiché non pensano ad altro che a come possano rivendere Dio e i suoi amici e a nulla serve correggerli. Roma, è sgradevole ascoltare e sentire le tue prediche!
XVIII. Roma, sono irritato perché cresce il tuo potere e perché per causa tua opprime tutti grande danno, perché sei rifugio e capo di inganno e di vergogna e di disonore; e i tuoi pastori sono falsi ingannatori, Roma, e chi li frequenta fa follia molto grande.
XIX. Roma, il papa agisce male, quando combatte con l’imperatore per il diritto della corona e lo dichiara eretico e perdona i suoi nemici, perché un tale perdono, che non segue ragione, Roma, non è buono; anzi chi lo difende, ne è svergognato.
XX. Roma, il Glorioso che soffrì per noi mortale dolore sulla croce ti dia cattiva sorte, perché tu vuoi portare sempre la borsa piena, Roma di mala condotta, che hai tutto il tuo cuore nel tesoro per cui la cupidigia ti conduce nel fuoco eterno.
XXI. Roma, dalla rabbia che porti in gola nasce il succo per cui il malvagio muore e si soffoca con la dolcezza nel cuore. Perciò il saggio trema quando riconosce e vede il veleno mortale e da dove viene, Roma, ti cola dal cuore, del quale sono colmi pieni i petti.
XXII. Roma, si è sempre sentito raccontare che hai la testa vuota perché la fai spesso radere: Per questo penso e credo che bisognerebbe, Roma, estrarti il cervello, perché un vergognoso cappello portate tu e Cîteaux, che a Béziers avete fatto un crudele macello.
XXIII. Roma, con esca ingannatrice tendi la tua rete e mangi molti bocconi maledetti, non importa chi ne soffre. Hai volto d’agnello con sguardo innocente, dentro lupo rapace, serpente coronato, generato da una vipera: per questo il diavolo ti cura come i suoi amici.

TESTO ORIGINALE: 

"D'un sirventes far en est son que m 'agenssa
no•m vuolh plus tarzar ni far longa bistenssa,‎
e sai ses doptar qu'ieu n'aurai malvolenssa,‎
si fas sirventes
dels fals, d'enjans ples,‎
de Roma, que es caps de la dechasenssa,‎
on dechai totz bes.‎

No•m meravilh ges, Roma, si la gens erra,‎
que•l segle avetz mes en trebalh et en guerra,‎
e pretz e merces mor per vos e sosterra,‎
Roma enganairitz,‎
qu etz de totz mals guitz
e cima e razitz, que•l bons reis d'Englaterra
fon per vos trahitz. 

Roma enganairitz, cobeitatz vos engana,‎
c'a vostras berbitz tondetz trop de la lana.‎
Lo sains esperitz, que receup carn humana,
entenda mos precs
e franha tos becs.‎
Roma, no m'entrecs, car es falsa e trafana
vas nos e vas Grecs.‎

Roma, als homes pecs rozetz la carn e l'ossa,‎
e guidatz los secs ab vos inz en la fossa:‎
trop passatz los decs de Dieu, car trop es grossa
vostra cobeitatz,‎
car vos perdonatz
per deniers pechatz. Roma, de gran trasdossa
de mal vos cargatz.‎

Roma, ben sapchatz que vostra avols barata‎
e vostra foudatz fetz perdre Damiata. 
Malamen renhatz, Roma. Dieus vos abata
en dechazemen,‎
car trop falsamen
renhatz per argen, Roma de mal'esclata
e de mal coven.‎

Roma, veramen sai eu senes doptanssa
c'ab galiamen de falsa perdonanssa ‎
liuretz a turmen lo barnatge de Franssa
lonh de paradis,‎
e•l bon rei Loïs,‎
Roma, avetz aucis, c'ab falsa predicanssa
l traissetz de Paris.

Roma, als Sarrazis faitz vos pauc de dampnatge,‎
mas Grecs e Latis liuratz a carnalatge.‎
Inz el foc d'abis, Roma, faitz vostre estatge,‎
en perdicion.‎
fa Dieus part no•m don,‎
Roma, del perdon ni del pelegrinatge
que fitz d'Avinhon.‎

Roma, ses razon avetz mainta gen morta,‎
e jes no•m sab bon, car tenetz via torta,‎
qu'a salvacion, Roma, serratz la porta.‎
Per qu 'a mal govern‎
d'estiu e d'invern
qui sec vostr'estern, car diables l'en porta
inz el fuoc d'enfern.‎

Roma, be•is decern lo mals c'om vos deu dire,‎
quar faitz per esquern dels crestians martire.‎
Mas en cal quadern trobatz c 'om deia aucire
Roma•ls crestians?‎
Dieus, qu es verais pans
e cotidians, me don so qu’eu desire
vezer dels Romans.‎

Roma, vers es pian que trop etz angoissosa
dels perdons trafans que fetz sobre Tolosa.‎
Trop rozetz las mans a lei de rabiosa,‎
Roma descordans.‎
Mas si•l coms prezans‎
viu ancar dos ans, Fransa n’er dolorosa
dels vostres engans.‎

Roma, tant es grans la vostra forfaitura
que Dieu e sos sans en gitatz a non-cura,‎
tant etz mal renhans, Roma falsa e tafura,‎
per qu’en vos s'escon
e•is magra e•is cofon
lo jois d'aquest mon. E faitz gran desmesura
del comte Raimon.‎

Roma, Dieus l'aon e•lh don poder e forsa
al comte que ton los Frances e•ls escorsa,‎
e fa•n planca e pon, quand ab els se comorsa;‎
et a mi platz fort.
Roma, a Dieu recort
del vostre gran tort, si•l plaz; e•l comte estorsa
de vos e de mort.‎

Roma, be•m conort quez en abans de gaire
venrez a mal port, si l'adreitz emperaire‎
mena adreich sa sort ni fai so que deu faire.‎
Roma, eu dic ver,‎
que•l vostre poder
veirem dechazer. Roma, lo vers salvaire
m 'o lais tost vezer.‎

Roma, per aver faitz mainta vilania
e maint desplazer e mainta fellonia:‎
tant voletz aver del mon la senhoria
que ren non temetz
Dieu ni sos devetz,‎
anz vei que fazetz mais qu 'ieu dir non poiria
de mal, per un detz.‎

Roma, tan tenetz estreg la vostra grapa
que so que podetz tener, greu vos escapa.‎
Si•n breu non perdetz poder, a mala trapa
es lo mons cazutz
e mortz e vencutz,‎
e•l pretz confondutz. Roma, la vostra papa
fai aitals vertutz.‎

Roma, cel qu 'es lutz del mon e vera vida 
e vera salutz, vos don mal'escarida,‎
car tans mals saubutz faitz, per que lo mons crida.‎
Roma desleials,‎
razitz de totz mals,‎
els focs enfernals ardretz senes falhida,‎
si non penssatz d'als.‎

Roma, als cardenals vos pot hom sobreprendre
per los criminals pecatz que fan entendre,‎
que non pensa n d'als, mas cum puoscan revendre
Dieu e sos amics,‎
e no•i val castics.‎
Roma, grans fastics es d'auzir e d'entendre
los vostres prezicx.‎

Roma, eu sui enics, car vostre poders monta,‎
e car grans destrics totz ab vos nos afronta,‎
car vos etz abrics e caps d'engan e d'onta
e de deshonor;‎
e•il vostre pastor
son fals trichador, Roma, e qui•ls aconta
fai trop gran follor.‎

Roma, mal labor fa•l papa, quan tensona‎
ab l'emperador pel dreich de la corona
ni•l met en error ni•ls sieus guerriers perdona; 
car aital perdos,‎
que non sec razos,‎
Roma, non es bos; enans qui l'en razona,‎
reman vergonhos.‎

Roma•l Glorios, que sofri mortal pena‎
en la crotz per nos vos done mal'estrena,‎
car voletz totz jors portar la borsa plena,‎
Roma de mal for,‎
que tot vostre cor
avetz en tresor; don cobeitatz vos mena
el fuoc que no mor

Roma, dei malcor, que portatz en la gola,‎
nais lo sucx, don mor lo mals e s'estrangola
ab doussor dei cor; per que•i savis tremola,‎
quan conois e ve
lo mortal vere‎
e de lai on ve (Roma, dei cor vos cola),‎
don li pieitz son ple.‎

Roma, ben ancse a hom auzit retraire
que•l cap sem vos te, per que•i faitz soven raire,‎
per que cug e cre qu'ops vos auria traire,‎
Roma, del cervel,‎
quar de mal capel 
etz vos e Cistel, qu’a Bezers fezetz faire
mout estranh mazel.

Rom,' ab fois sembel tendetz vostra tezura,‎
e man mal morsel manjatz, qui que l'endura,‎
caravetz danhel ab simpla gardadura,‎
dedins lops rabatz, 
serpens coronatz
de vibr'engenratz, per que•l diable•us cura 
coma•ls sieus privatz.‎"


(In questo link troverete interessanti note al componimento a cura del professor Zambon: D'Un sirventes)




Raimbaut de Vaqueiras
Nei mesi primaverili di Maggio ed Aprile, quando i fiori tornavano a colorare i prati e gli uccelli cantavano negli enormi boschi, le corti francesi, italiane e spagnole sovente davano vita ai grandi torneyamen, tornei ai quali accorrevano trovatori, musicisti, giullari e poeti da tutta Europa per poter suonare insieme e scoprire nuove influenze musicali, nuovi strumenti appena giunti dall’oriente o inventati di sana pianta da qualche artigiano o musicista.
Dalle improvvisazioni tra musici nascevano brani che ancora oggi godono di grande fama tra gli appassionati e gli studiosi del genere. 
Kalenda Maya per esempio, è un brano musicale sul quale Raimbaut de Vaqueiras compose una delle sue poesie più celebri. Raimbaut disse di amare a tal punto quella melodia che lui ed altri musicisti erano soliti suonare con le vielle da aver sentito il bisogno di comporre dei versi che l’accompagnassero. 
Ecco la traduzione in italiano di Kalenda Maya a cura di Costanzo de Girolamo seguita dal testo originale:

Né calenda di maggio né foglia di faggio né canto di uccello né fiore di gladiolo c'è che mi piaccia,
nobile e gaia signora, finché uno svelto messaggero io riceva dalla vostra bella persona, che mi
riferisca di un nuovo piacere, sicché amore mi attiri e giaccia con voi e mi spinga verso voi, dama
sincera; e cada ferito il geloso prima che mi ritiri.

Mia bell'amica, in nome di Dio, non avvenga mai che il geloso rida del mio male, perché pagherebbe caramente per la sua gelosia, se separasse due amanti come questi; perché io non sarei mai più gioioso, né, senza di voi, gioia mi varrebbe: tale via prenderei che più nessuno mai mi vedrebbe; il giorno che vi perdessi, dama eccellente, io morirei.

Come sarà perduta e come potrà essermi restituita una dama se non l'ho avuta? Infatti non si può essere amanti solo con il pensiero; ma quando l'innamorato si muta in amante, grande è l'onore che cresce in lui, e l'espressione felice fa sorgere questo mormorio. Eppure non vi ho mai tenuta nuda, né vinta in altro modo: vi ho desiderata e ho riposto in voi la mia fede senza altra ricompensa.

Difficilmente avrei gioia, Bel Cavaliere, se mi separassi tristemente da voi perché altrove il mio cuore non si rivolge né mi attira il mio desiderio, ch'altro non desidera; perché so, signora, che piacerebbe ai maldicenti, che diversamente non starebbero in pace: qualcuno vedrebbe, ascolterebbe le mie disgrazie e di esse vi sarebbe grato, qualcuno che vi guarda, che vi pensa pieno di speranza, sicché il cuore sospira.

Così gentilmente nasce e sopra tutti si ingentilisce e cresce, donna Beatrice, il vostro valore; nella mia opinior onorate il vostro dominio di pregio e di belle parole senza errore; di nobili fatti possedete il seme; avete scienza, pazienza e conoscenza; incontestabilmente rivestite il vostro valore di benevolenza. 

Dama gentile, ciascuno loda e proclama il vostro valore che è amabile, e chi vi dimentica poco gli vale la vita, sicché io vi adoro, signora distinta; perché io vi ho scelta come la più nobile e la migliore, perfetta in pregio, e vi ho corteggiata e servita meglio di quanto Erec fece con Enide. Composta, finita, signor Inglese, ho l'estampida.

TESTO ORIGINALE:

"Kalenda maia
ni fueills de faia
ni chans d'auzell
ni flors de glaia
non es qe•m plaia,
pros dona gaia,
tro q'un isnell
messagier aia
del vostre bell
cors, qi•m retraia
plazer novell,
q'amors m'atraia,
e jaia
e•m traia
vas vos,
donna veraia;
e chaia
de plaia
•l gelos,
anz qe•m n'estraia.

Ma bell'amia,
per Dieu non sia
qe ja•1 gelos
de mon dan ria,
qe car vendria
sa gelozia
si aitals dos
amantz partia;
q'ieu ja joios
mais non seria,
ni jois ses vos
pro no•m tenria;
tal via
faria
q'oms ja
mais no•m veiria;
cell dia
morria,
donna
pros, q'ie•us perdria.

Con er perduda
ni m'er renduda
donna, s'enanz
non l'ai aguda?
Qe drutz ni druda
non es per cuda;
mas qant amantz
en drut si muda,
l'onors es granz
qe•l n'es creguda,
e•l bels semblanz
fai far tal bruda.
Qe nuda
tenguda
no•us ai,
ni d'als vencuda;
volguda
cresuda
vos ai,
ses autr'ajuda.

Tart m'esjauzira,
pos ja•m partira,
Bells Cavalhiers,
de vos ab ira,
q'ailhors nos vira
mos cors, ni•m tira
mos deziriers,
q'als non dezira;
q'a lauzengiers
sai q'abellira,
donna, q'estiers
non lur garira:
tals vira,
sentira
mos danz,
qi•lls vos grazira,
qe•us mira,
cossira
cuidanz
don cors sospira.

Tant gent comensa,
part totas gensa,
na Beatritz,
e pren creissensa
vostra valensa;
per ma credensa,
de pretz garnitz
vostra tenensa
e de bels ditz,
senes failhensa;
de faitz grazitz
tenetz semensa;
siensa,
sufrensa
avetz
e coneissensa;
valensa
ses tensa
vistetz
ab benvolensa.

Donna grazida,
qecs lauz'e crida
vostra valor
q'es abellida,
e qi•us oblida
pauc li val vida,
per q'ie•us azor,
donn'eissernida;
qar per gençor
vos ai chauzida
e per meilhor,
de prez complida,
blandida,
servida
genses
q'Erecs Enida.
Bastida,
finida,
n' Engles,
ai l'estampida."



I torneyamen erano anche il luogo in cui prendevano vita le tenso poetiche che vedevano grandi ed affermati trovatori scontrarsi gli uni contro gli altri con i loro vers, senza esclusione di colpi. 
Sordel




E’ celebre lo scontro tra il grande Raimbaut de Vaqueiras ed il conte Alberto Malaspina che lo sbeffeggia per un noto componimento nel quale Raimbaut viene rifiutato da una arguta dama Genovese; oppure la danseta composta alla corte trevigiana dei Da Romano da Uc de Saint Circ, dove il poeta racconta della rocambolesca fuga dall’Italia di Sordello da Goito a seguito delle sue azzardate avventure amorose.

Uc de Saint Circ























La politica si ritrova anche in chiave satirica nella poesia di Peire de la Ca Varana che all’incirca nel 1194, compose “D’Un sirventes faire”, canzone nella quale il poeta incoraggia i Lombardi ad unirsi per opporsi all’imperatore tedesco Federico II, ricordandogli il triste destino al quale sono andate incontro le regioni del sud Italia già vittime della conquista da parte dai popoli germanici. Il ritornello della composizione è un vero e proprio monito che dice:  

"Lombardi, ben guardatevi,
che poi non diventiate
sì peggio degli schiavi
se saldi non restate.
Di Puglia vi sovvenga
dei suoi baron valenti;
che altro ormai non hanno
all'infuor delle lor case; 
badate non avvenga
altrettanto poi di voi"


Gérard Zuchetto, uno dei migliori ricercatori e cantori nell’ambito torbadorico dei nostri tempi, ha dato vita all’opera “La Primavera d’Amore” dove le composizioni di trovatori come Raimon de Miraval, Uc de Saint Circ, Raimbaut de Vaqueiras, Peire de la Cavarana, Guilhem Figueira, Alberto Malaspina, Sordello ed altri attivi tra Francia, Spagna ed Italia tra il XII e XIII secolo risuonano con ispirazione, ricerca e scienza degna del periodo nel quale sono nate. 

Un vero e proprio tributo alla maestria del trobar che lascia anche spazio all’interpretazione dove le fonti non sono sopravvissute al tempo, senza però perdere di vista lo spirito con il quale le composizioni sono nate, ma avvicinandosi anzi alla stessa libertà della quale godevano i musici medievali mentre suonavano nelle corti, per baroni e signore o nelle taverne, davanti al popolo.


La primavera d'Amore





Tutti i diritti riservati ai musicisti, il video ha il solo scopo di diffondere la bellezza della musica del medioevo.
Per acquistare l'opera: Fonè Records


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